Chiacchiere archeologiche del sabato sera

Brocche askoidi dal nuraghe Genna Maria (Villanovaforru)

Brocche askoidi dal nuraghe Genna Maria (Villanovaforru)

Da tempo nella militanza culturale cerco di legare i pezzi di storie ricuciti mediante strumenti di antichista con quelli della costruzione dell’identità, manufatto contemporaneo delicato e nel quale mi sento, per la sommatoria di lavoro ed esistenza sociale, doppiamente coinvolto.
Le basi della formazione, che prudentemente ho cercato di costruire solide ma non chiuse, hanno lasciato memorie di immagini e storie indiziarie, che – come un libro che rileggi dopo qualche anno, e ancora dopo qualche anno – ti regalano nuove focali.
Mi sono perciò trovato oggi, attraverso qualche discussione su una pagina archeologica, a riprendere attraverso due manufatti esemplari, uno nuragico l’altro fenicio, passaggi temporanei e importanti come boe marine: da un vecchio articolo del 1944 scritto per ‘Studi Etruschi’ da Giovanni Lilliu
(Rapporti fra la civiltà nuragica e la civiltà fenicio-punica in Sardegna,  18, 1944, 323-70) , con le categorie di interferenze e influenze in relazione all’esperienza fenicio-punica in Sardegna, a nuovi ritrovamenti resi leggibili anche e meglio con chiavi che una ricerca finalmente un po’ meno provinciale, grazie a personaggi ‘etruschi’ come Mario Torelli e Francesco Nicosia, e i frutti da essi provocati, portavano a vedere con categorie mediterranee. Ho nostalgia, e riconoscenza, di qualche chiacchierata ‘folle’ con Francesco.

E infine, la necessità che si sente di riscrivere una storia sarda, ma senza cedere un millimetro nel rigore disciplinare.
Sarà che l’indipendentismo prova ad attraversarmi e corre dentro percorso accidentato, con la montagna del materiale piena di cime e grotte, cunicoli e vivaci talpe scavatrici,  costruita, quando serviva alla storia, dall’ideale. Se smetterà di correre e troverà una sosta, e  arriverà davvero, non potrà essere concettualmente roba da plat pays: è sicuramente colpa mia.

E mi trovo allora a capire meglio che la possibilità di riscrivere la storia negata della Sardegna, assieme alla difesa del paesaggio attraverso la sua comprensione, non matura con la negazione degli altri, ma con la capacità di leggere ‘noi e gli altri’. Di avere persino qualche dubbio sacrosanto su chi siano – e fossero –  gli altri e chi siamo – e fossimo – noi.

Non è un’operazione che si possa consumare nelle arene mediatiche: a molti piace così e così costruiscono forza e consenso;  ma richiede duro lavoro, ciò che archeologhe e archeologi sanno, nel provare a leggere il concetto che Lilliu richiamò, in quel suo fondamentale articolo, di ‘influenza’ culturale, ben più sostanziale dell’ ‘interferenza’.

Si leggono affermazioni e libri che, essendo molto oltre il ridicolo, segnano un pericolo reale. Il negazionismo unito ad antichi eroismi militari, secondo alcuni nel nome di Jahwè. Un tempo si chiamava clerico-fascismo.

I fenici in ogni caso non esistono!!!  …roba da Mossad di provincia, amata dalla ggente che si incazza perchè hanno nominato bidelle due Rom, che vede complotti continui, che non accetta di invecchiare assieme a Stephanie e Ridge Forrester.  I fenici non sono fenici, sono shardana, perciò sono sardi. (Filosofia della miseria). Si sarà sbagliato Sant’Agostino quando, chiedendo ai contadini di Hippo, in Algeria, nel V secolo d.C. chi fossero, essi, in lingua punica,  rispondevano: ‘siamo Cananei’ (ovvero, Fenici). Unde interrogati rustici nostri quid sint punice respondentes: chanani (Agostino, Expositio ad Rom. 13).

È davvero difficile per me capire come, di fronte alla vastità della documentazione esistente in Sardegna e altrove, si possano avere posizioni del genere. Non vi è un solo pezzo shardana (anche perchè ci sfugge la cultura materiale di questi mercenari – meglio sarebbe chiamari in ogni caso sherdanu) dagli scavi di Tiro, di Sidone, di tantissimi altri centri fenici. La  soluzione praticata è semplice: basta cambiare nome. Tutti i materiali fenici, in Fenicia e in Sardegna, chiamarli sherdanu: ed ecco che i fenici non esistono più.

La verità è che negare un popolo è quello che hanno fatto i nazionalisti italiani e i teorici del ventennio, compresi quelli della Germania. Anche la Sardegna è stata negata, per giunta prima e dopo il ventennio. Negare un altro popolo non è il passaggio di rivoluzione della storia sarda che ci serve, con la sua incredulità e disinteresse reale verso i dati scientifici, mascherata da rivolta anticasta e antiitaliana e che mi ricorda lo spregio verso il ‘culturame’;  è solo etnocentrismo, pure piccolo, come il concetto e l’idea che si ha, dietro parole apparentemente guerriere, del popolo sardo.

Le culture, ancora di più nell’antichità,  non rispondono a blocchi etnici definiti, come ci ha abituato la vecchia storia dell’arte figlia dei veteronazionalismi dell’Ottocento e dell’antiquariato, ma sono così spesso, meticce, miste, ‘influenzate’….

Non  è tutto uguale, naturalmente, perchè è il potere di chi ce l’ha che decide, con le sue ragioni molto concrete. E i pezzi qua sotto non appartengono nè al popolo fenicio né a quello nuragico, ma alle loro ‘classi dirigenti’. Abbiamo in ogni caso manufatti nuragici influenzati da modelli fenici, e manufatti fenici influenzati da modelli nuragici. Anche questi livelli, delicati ma straordinariamente importanti, tolgono la lettura storica dalla deriva etnocentrica per consegnarla al campo delle relazioni, e di lì alla ricostruzione identitaria.

Ho l’impressione che non ci sarà alcuna rivoluzione da Mont’e Prama se si trascurerà il ‘resto’, che potremo anche chiamare contesto, persino sociale, dal quale i celeberrimi ‘giganti’ non possono certo chiamarsi fuori….Ma a qualcuno serve la ‘grandeur’ per nascondere la propria assenza di analisi, dietro un patetico nazionalismo che sa di Ottocento stantio.

askoi e brocche

Qua è il caso di due splendidi oggetti di bronzo: uno nuragico, ovvero la brocchetta askoide di Buddusò che presenta una ‘irrituale’ palmetta fenicia alla base dell’ansa, l’altro fenicio: un bronzetto di Monte Sirai, un personaggio che versa una bevanda sicuramente preziosa e probabilmente rituale, da una brocca askoide nuragica (che mi sembra abbia la bocca come una brocca fenicia ‘con orlo a fungo’).  Ambedue databili ai primi decenni del VII secolo a.C., che tracciano uno spazio ampio, che possiamo cogliere meglio osservando, ad esempio, una brocca fenicia da Pontecagnano e una brocca nuragica da contesto fenicio a Cadice.

La risposta di qualche nuraghebano potrebbe essere: la palmetta non è fenicia perché i fenici non esistono e sono i shardana, perciò la brocca è shardana; il bronzetto non è fenicio, ma shardana, perchè la brocca è shardana.

La realtà sembra più complessa,  l’identità pure.

Ma sono tempi nei quali la complessità è vista male, e ritenuta pericolosa, perciò qualche preoccupazione faremmo bene ad avercela. Se non altro perchè il lavoro non è poco, e Mister Renzi, col suo criminoso Jobs Act, sta sabotando per qualche generazione (roba da ridere i decenni di standby delle statue di Mont’e Prama) la ricerca scientifica, il suo lavoro ‘salariato’ e quello indipendente.

(1 novembre 2014, reloaded)